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(13/02/2008)
La televisione della lacrima mi fa rabbia.
Non ne sopporto i conduttori (le conduttrici).
Il loro approccio è compassionevole: cioè untuoso.
I loro sguardi sono languidi: in realtà sono avidi.
La dizione è lenta e quasi rotta dalla commozione: tradisce ipocrisia e doppiezza.
Il gestire è ampio, lento e sorvegliato: ad uno sguardo più attento è affettato, innaturale ed esagerato.
Tutto, in loro, è artificioso.
Tutto tradisce il loro unico obiettivo:
fare cassetta con i dolori dei partecipanti.
Posso capirli, i confezionatori dei programmi: il loro scopo è firmare contratti pubblicitari.
Per questo devono attrarre un gran numero di spettatori.
Che agganciano con le lacrime.
Più lacrime, più spettatori, più contratti ...
Non capisco invece i partecipanti, le persone che vanno a piangere in pubblico.
Che si prestano a questa operazione di dubbio livello.
Non credo si tratti solo di storie inventate.
Magari !
Penso che molte delle storie proposte siano vere o, almeno, quasi vere.
Che cosa spinge una persona a rinnovare in televisione il proprio dolore?
A squadernare sotto gli occhi di tutti la propria sofferenza?
A piangere senza ritegno, come se fosse la prima volta?
I soldi?
La voglia di presenzialismo?
Una insopprimibile esigenza di partecipazione?
Non lo so, forse tutto questo e qualcos'altro.
Vorrei, tuttavia, sapessero che l'effetto è penoso, irritante e terribilmente fastidioso.
Imbarazzante, sgradevole e disgustoso.
Il tutto, dopo pochi minuti, risulta inguardabile.
Il dolore, soprattutto quello morale, è qualcosa che si vive nelle regioni più profonde della propria intimità.
E' una condizione di cui si possono far partecipi i propri cari, gli amici veri, le persone più discrete e fidate.
Come si fa a darlo in pasto ad una conduttrice (ad un conduttore) che sprizza cupidigia da tutti i pori, che spasima dalla voglia di spararlo ai quattro venti?
Come si fa, nel ricordo, a tradurlo in rivoli di lacrime ad uso e consumo di spettatori estranei, spesso distratti, magari anche non immuni da una smaniosa pruderie?
Non è forse peggio che denudarsi sulla pubblica piazza?